DIONYSIOS SOLOMOS
Rime improvvisate
I
Per noctes quaesivi quem diligit anima mea, quaesivi illum et non inveni. Cant. Cap. 3
. Sorge la notte—è tenebrìa profonda:
Alto regna silenzio—esco dal tetto,
Esco presto cercando il mio diletto,
E lo chiamo—e non è chi mi risponda.
Ad ogni auretta, a ogni sommossa fronda
Di speme il cor mi palpita nel petto;
Ma son delusa, e tremo di sospetto,
Perchè notte deserta mi circonda.
Vò correndo ogni piazza, et ogni via:
Oh chi il diletto mio, chi l'ha veduto,
Ch'è conforto alla mesta anima mia!
E le inchieste, e le grida anco rinnovo;
Ma ciascun labbro alla risposta è muto,
E non è chi m'insegni ove lo trovo.
II
Indica mihi quem diligit. anima mea, etc. Cant. Cap. 3.
Dove sei, dove giaci? arde la vampa,
Del meriggio, e squallor n'ha la campagna.
Molta nube infocata in Cielo accampa,
E deserto n'è il piano, e la montagna.
Dove giaci, ove sei? di te si stampa
L'alma che in non vederti ora si lagna;
Tutto è silenzio, dal timor mi scampa,
Vieni, e l'anima mia fa che non pianga.
Oh dove giaci, oh dove sei? dell'onde
D'ogni rivolo nostro il suono è muto,
E il susurro obbliar, l'aure, e le fronde
Finalmente io ti trovo, io tua già sono,
E sempre ti darò d'amor tributo;
Io ti trovo, e più mai non t'abbandono.
III
Si ignoras te, e pulcherrima inter mulieres, etc Cant. Cap.1.
Se non conosci te, fra tutte bella,
Esci, e dietro de' greggi alle pedate
Vanne al brillar dell'aurora novella,
Donna vestita di tutta beltate.
Seguiranti ogni agnello, ed ogni agnella
Tutte quante belando innamorate,
Fino che sorga d'Espero la stella,
Che le richiami ai chiusi, in che son nate.
Seguiranti i pastori, e a te da lato
Alle innocenti inspireran carole
Dando più dolce alle sampogne il fiato.
Tutta leggiadra e la pupilla, e in essa
Lume brilla più bello assai del sole:
Esci, ed allor conoscerai te stessa.
IV
Consurge, consurge, induere fortitudine tua Sion, etc. ISAIA
Sorgi, sorgi, o Sion, voce risuona,
Che ti toglie al furor de combattenti;
Poni di nuovo sulla tua persona
Della gloria perduta i vestimenti
Rimetti al capo ancor quella corona
I cui splendori il tuo nemico ha spenti,
Risorgi in atto di Regina, e tuona
Che venga ognun de' popoli credenti.
E a te intorno si vada radunando
Con tripudio di canto, attento il core
Al cenno augusto del Divin comando.
E la locata nell' antica sede
Il rio tiranno che t' avea livore
O fuggirassi, o bacieratti il piede.
V
PER UNA FONTANA CHE SOVRASTA IL MARE IN DAVIA
E la voce ascoltar della fontana
Giova quando del mar l'onda è quieta,
E su del Cielo nell'azzurra meta
Appar la prima striscia antelucana.
Qui allor non s'ode alcuna voce umana,
Ed appena l'orecchio avido allieta
Vagabonda tra i rami aura secreta,
O lamento di lodola lontana
Salve, o di monte figliuola felice
E delle linfe coi trepidi umori
Di poetica mente imitatrice.
Io verrò sul tuo margo a coricarmi
Al luccicar de' mattutini albori,
E il dolce suon t'intuonerò dei carmi.
VI
PEP UN LUOGO AMENO PURE IN DAVIA OVE L'AUTORE SOLEVA ANDARE DA FANCIULLO
E questo è il loco, in cui traea ridente
Di trastullo il desio me giovinetto;
Qui rapiva gli aromi il Zifiretto
Molle all' arancio, ed al cedro fiorente
Qui la stessa olezzante aura si sente,
Che la mesta rallegra alma nel petto;
La stessa la verzura è nell' aspetto
Vivida, tremolante, rilucente.
U' se' ito degli anni, o fior gentile!
Quanto diverso da quel tempo antico
Ritorno in questo suoi sparso d' Aprile!
E qual cagion tal mutamento apporta?
Non la ignoro, e piangendo la ridico;
Crebbero gli anni, ed innocenza han morta.
VII
Ego dilecto meo, si dilectus meus mihi qui pascitur inter lilia. Cant Cap. 6
In questi di sciagura orridi, e bui
Sentieri, ove per se 1'uom non iscorge,
Solo il diletto mio nel cuor mi sorge,
E non vedo, e non sento altro che lui
Tieni, o mondo per te, tienili i tui
Piaceri, egli e che all' anima mi porge
Tal contento che d' altro non se accorge
Ragionando con meco, ed io con lui.
Egli si pasce sol di virginale
Bel candore di gigli immacolati
Non tocchi da veruna aura mortale;
Ed io lo so, che sua diletta io sono.
Finche morte questi occhi abbia gelati
Non fia ch' io mai lo lasci in abbandono.
VIII
Surge arnica mea. . .jam enim hiems transit, etc. Cant. Cap. 2
Sorgi ora, amica mia, cara colomba,
Sorgi amica leggiarda, e vieni presta;
Or si tacque il fragor della tempesta,
E fuor dell' aura pura altra non romba.
Or più di verno 1'aere non rimbomba,
E splende il Cielo di cerulea vesta;
Sorgi, amica leggiadra, e vieni presta;
Sorgi ora, amica mia, cara colomba
Le terre nostre ecco si fan gioconde
Del dolcissimo fremito, che fanno
Mille fior, mille linfe, e mille fronde.
Sorgi, cara colomba, odi per 1' aria
Tutta fragranza, che agitando il vanno
Canta la Tortorella solitaria.
IX
SULLO STESSO ARGOMENTO
Presta, colomba mia, presta t' avanza,
Ve' che spingendo i vanni alti per 1' aria
Insolita spirante alma fragranza
Canta la tortorella solitaria.
Vedi quanta onde 1' occhio ha dilettanza
Quanta verzura, è nei colori varia ;
Presta colomba mia; presta t' avanza,
Non più spira invernale aura contraria
Ve' come tutto il Ciel, ride d' azzurro,
Odi d'aura prolifica garrito,
E di linfe, e di fronde odi susurro.
Sorgi, amica mia dolce, or più non romba
La tempesta, ed il verno è gia sparito,
Sorgi ora, amica mia, cara colomba.
X
Aperi mihi, soror mea... quia caput meum plenum est ore etc. Cant. Cap. 5.
Apri suora amorosa — ermo il cammino
Ho smarrito—alma dolce apri la porta,
Apri; lontana è 1' ora del mattino,
Notte è buia, e veruno astro conforta.
E s' aggira errabondo il piè tapino
Per gli error del deserto, e nulla ha scorta.
Odi il vento che fischia, odi il canino
Ulular lungo: e ogni altra voce è morta.
Tutta molle la chioma ho di rugiade,
Che va piovendo la notte squallente;
L' alma mi trema, e di terror mi cade.
Odi più sempre, e più di lito in lito
Fremere i venti: e che farò, dolente!
Se di fiero leon scoppia il ruggito!
XI
Quae est ista, quae progreditur quasi aurora consurgens pulchra ut Luna; etc. Cant. Cap. 6.
Chi è costei che muove al par d' aurora,
Che di rose vestita al mondo sorge,
E di limpide stille i campi irrora;
Si che in vita ogni morta erba risorge?
Bella come la luna che ristora,
Con quel candido suo lume che porge,
Lo squallor della notte, onde si scorge
Tal notturna bellezza che innamora;
Eletta come il Sol, che mentre bea
II Cielo, della terra li deserti
Scalda, avviva, rallegra, anima, crea;
Terribil come esercito che stei
Per battagliar ne' vasti campi aperti,
Minacciando terror—Chi è costei?
XII
SULLO STESSO ARGOMENTO
Chi è costei che muove il piede allegra,
E come il mattutino astro scintilla,
Che perpetua versando eterea stilla
I fiori, e le appassite erbe rintegra?
Bella come la luna onde la negra
Squallida notte e consolata, e brilla
Della luce bellissima tranquilla
Che tutto il taciturno orbe rallegra
Eletta come il Sol che solo incede
Pei deserti del Cielo aerei campi,
E di notte all' orror vita succede;
Terribil come esercito che accampi
Pronto alla pugna ; ognun ne teme, e crede
Che terribil la morte orma vi stampi.
XIII
Veni dilecte mi, egrediamur in agrum, commoremur in villis etc.
Cant. Cap. 7.
Vieni, diletto mio, scendiamo al campo,
Scendiamo tosto, e abiterem le ville;
Troppo è l' amor di che nell' alma avvampo,
Sicchè anche il viso avvien che ne sfaville.
Dell' aurora novella al roseo lampo
Andrem della rugiada infra le stille
Per li vigneti fioridi; ed al vampo
Del meriggio ci avran l' ombre tranquille.
Alla vigna d'intorno guaterai
Se il bel frutto che attendi è fatto molle,
E di tua propria man lo coglierai.
I freschi fiori, e l' erbe pur mò sorte
Ci saranno di letto in su quel colle;
Sai che forte e l' amor come la morte.
XIV
Anima mia liquefacta est ut dilectus locutus est, etc.
Cant. Cap. 5
Suon di limpido rivolo che casca
Dalla molle di fresce erbe collina,
Aura che va parlando colla frasca,
Che novella s'aperse e mattutina;
Serenita che dopo la burrasca
Pura in Cielo si spiega ed azzurrina;
Vigile capinera che s'infrasca,
E previene col canto la mattina;
O qualunque altra sia cosa mortale,
Che sull' umana tempra abbia più possa
In confronto alla tua voce non vale.
Poichè quando sentire a me si fece
Tutta l'anima mia tanto fu scossa,
Che nel sentirla il cuor si liquefece.
XV
Fulcite me floribus, stipate me malis quia amore langueo, etc.
Cant. Cap. 2.
Deh folcetemi intorno di que fiori:
Che più puro, e fragrante hanno l'olezzo
E solo accarezzati da un olezzo
Sul lucicar de' mattutini albori:
E molli ancor de' rugiadosi umori,
Voi di cui il cuore a puntate è avvezzo,
Deh li portate, e sia la rosa in mezzo
Immago di virginei splendori.
Ve' che d' arnor mi langue la pupilla,
Langue la bocca, e il viso tutto, e il core
Nel profondo d'amor mi disfavilla.
Stipatemi di poma; or che vi miro
Tutta l'alma d'amor mi langue; è amore
Tutto quanto ond' io parlo, ond' io respiro.
XVI
Surge Aquilo, et veni Auster... perfla hortum meum, etc.
Cant. Cap. 4.
Il vol veloce apportator di gelo
Ora Aquilone furibondo acqueta.
Sorga soave sibilo dal cielo,
Che le campagne al mistic' orto allieta.
Piova da lui fecondatore il velo
Della rugiada che tutto disseta,
E da eteree fragranze ad ogni stelo
Col dolce raggio del divo pianeta.
Piovano stille e sieno mattutine,
E serotine sien, chè allora al mondo
Ogni squallor scomparira di spine;
E tolte queste alle create cose,
II mistic' orto apparira fecondo
D' intatti gigli, e di virginee rose.
XVII
AL NOB. SIG. CAVALIERE
PAOLO CONTE MERCATI
AMICO DELL' AUTORE
Lieve fischiar di giovinetta frasca
Che di bel tempio protegge le mura,
Gorgoglio di ruscel che dall' altura
Di collinetta a rinfrescarla casca,
Sembra, che la pensosa anima pasca
Di sacre cose, e che dalla verzura,
E dal ruscello trepido la fura,
E in ciel la porta, onde salute nasca.
E questo loco, ove silenzio ha regno
Forse perchè religion s' aggira,
Fa meditar ogni mortale ingegno.
Sciogli tu dunque il labbro al nuovo tema;
Ch'io non sento, se qui l' occhio rimira,
O ingegno che paventa, o man che trema
XVIII
UN GIOVINE MORIBONDO AL SUO AMICO
Ecco mio dolce amico, apresi l'urna
Che mi deve albergar fra le tenebre,
Gia la bella per me lampa diurna
Si nasconde per sempre alle latebre.
Parvenze omai d' oscurita notturna
Alle pupille mie si fanno crebre
E mi par di veder la taciturna
Sacra schiera intuonar l'inno funebre.
Addio! So che amista mi serberai,
Perocchè nelle care alme sincere
Dura oltre morte e non si estingue mai.
Vieni allor che sarò sopra il feretro
A porgere per me calde preghiere,
E vieni allor che diverrò scheletro.
XIX
Lamenti della Nob. Sig. GIOVANNA MARTINENGO CARRER nel vedere presso la Chiesa vicina alla sua Gasa alcuni giovani dell'eta del suo figlio Nicolò di cui poco tempo prima era stata priva
O giovinetti, par simili siate
Al dolce figlio che mi tolse morte!
Ahi, che stando del tempio in su le porte
Voi la doglia materna esacerbate
Or voi leggiadri giovinetti andate
Alla madre che fia che si conforte.
Non cosi il mio; che giacciono di morte
Le reliquie del figlio addormentate.
Ah ben presto avanio la mia speranza!
Com'oggi ei ritornava dalla festa
Col tripudio del canto e della danza.
E or basso in faccia ad ogni madre ho il ciglio,
E a lei mia doglia appar si manifesta,
Che non s'attenta a ragionar del figlio.
XX
IL GIUDIZIO FINALE
(Con rime obbligate)
Sorgon trombe del mondo ai quattro termini,
Che fanno rimbombar gli spazi eterei,
E fan col squillo che ne' regni aerei
D'un Dio lo sdegno inferocito germini.
Vedi che sbucan dal letto dei vermini
Mille crin rabbuffati e visi cerei
Quasi volendo ai silenzi funerei
Trattenersi, onde il Cielo non li stermini.
Tutto il mondo si fè fornace torrida
Al perpetuo fischiar d' irato fulmine,
Poscia caverna silenziosa ed orrida.
Qua piomban corpi nell'inferno lividi,
La volan corpi nel celeste culmine
D'eterea gioia immortalmente vividi.
XXI
L' AURORA
(Colle stesse rime del precedente)
Spunta l'Alba del Ciel dai bianchi termini
E va incedendo per gli spazi eterei,
Al divino alternar dei passi aerei
Quelia via di ligustri avvien che germini.
Tutti la senton già, perfino i vermini;
Tutti allegransi già, perfino i cerei
Visi attristati di pensier funerei;
Nè più l'alma di doglia è che si stermini.
Par che prometta il Ciel non più la torrida
Vampa scagliar dell'adirato fulmine,
Che fa la terra silenziosa ed orrida.
Ve mille fior fatti dal nembo lividi
Verso del rilucente azzurro culmine
Sullo stelo rizzarsi e farsi vividi.
XXII
SULLO STESSO ARGOMENTO
(Con rime obbligate)
Sorge l' Aurora; odi d'augelli un gemito,
Vedi d'ale amorose un dolce tremito,
Odi aurette vaganti eccitar tremito
Nel bosco di bei fiori, e fronde gremito.
Fa le strade del Ciel tutte sorridere,
E va col lume ogni alta stella a uccidere.
Vedi Ninfe in bei cori si dividere,
E con mano innocente i fior succidere,
Chi raccoglie gesmino, e chi filliride,
E si van sollazzando al suon di cetere,
E a lor ride dei rai più bella l'Iride.
Deh perchè l'ali il mio pensiero ha gelide!
Vorrei l'Aurora incoronar nell'etere
Cogl'Inni che volar si belli in Elide.
XXIII
LA MORTE
Giaceva immerso in sonno alto, e scorgea
Smilzi fandasmi, e udia bisbigli e voci,
Quando repente all'ultima vallea
Mi portaro i pensier foschi e feroci.
Tutta piena la luna in Ciel splendea,
Ed io la delle fosse in su le foci
Forsennato correva, e mi parea
Legger gli anni ed i nomi in sulle croci
Morte sbalzo, che d'ossa avea ghirlanda,
E le gravi alternava orme tremende
Per lo squallor della funerea landa.
E stendendo il suo braccio ischeletrito,
Ve' il loco, ove convien che tu discenda,
Disse la fiera, e mi svegliai smarrito.
XXIV
LA GASTITA
(Con rime obbligate)
Sorge nel mistic'orto alta una Rosa
Verso l'alba ondeggiante in su lo stelo,
E dalle frondi sue tutta è nascosa,
Che le fanno al pudor virgineo velo.
D'esse a traverso appena scende; e posa
Rugiada candidissima di cielo,
E appena quelle foglie a baciar osa
Il più puro d'amor Zeffiro anelo.
Colui che d'Ella il casto crine infiora
Tutto adombrato apparirà nel viso
Del candor che si piace al primo amore.
D'Ella serto dagli Angeli si fea
Quando giunse la Donna in Paradiso,
Di che il Ciel dopo Dio tutto si bea.
XXV
LA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE
(Con rime obbligate)
Sorse in cielo improvvisa un'armonia,
Ch'iva cantando il bel virgineo Giglio,
Da cui nascer doveva il divin Figlio,
E circondava Iddio la melodia.
Brillava al canto che dicea «Maria»
Ogni fronte celeste ed ogni ciglio,
E pel Ciel si spandea tale un vermiglio,
Che il vermiglio mortal smorto Saria.
Al nome augusto della Veneranda,
D'etereo fior da nulla macchia inciso
Ognuno al crine si facea ghirlanda.
Un abbracciarsi, ed un baciarsi, e un riso
Dappertutto in mirar par che si spanda
Raddoppiato il gioir del Paradiso
XXVI
L' ANNUNZIAZ10NE
(Con rime obbligate)
Scende Gabriel lucente al par d'Aurora,
E sull'omero ha sparso il crime in onda,
Che biondeggia ricinto d'una fronda,
Di che pianta mortal non si colora.
E il labbro suo, cui fulgor divo indora,
Di tal suono a Maria l'orecchio inonda
Salve, salve o Maria, da cui ridonda.
Ogni grazia che il seme uman ristora.
Il Signor è con teco eterea Ninfa.
Che sperdera del rio peccato il nembo
Della grazia lustrale colla linfa.
Sono ancella di Dio, disse, e le ingombra
La mente il gran pensier che ha un Nume in grembo,
E il bel pallor dell'umiltà l'adombra.
XXVII
LA MORTE DEL GIUSTO
(Con rime obbligate)
Giace il giusto al suo letto, e in aria dolce
Il labbro moribondo a Dio dà lode,
Il languido gli s'apre occhio, e ne gode,
Che speranza del Cielo il cor gli folce
Col perpetuo pregar la mente addolce
Onde Satano a lui non faccia frode,
Quand'ecco che improvvisa una melode
La sua divina farfalletta molce.
Vien, dicea della luce entro la fonte,
Ne ti sara più mai tolto l'ameno
Etereo giogo del divino monte.
Dopo un lieve affannarsi alfine uscio
La bell'alma dal carcere terreno
A guisa di sospir caldo di Dio
XXVIII
LA MORTE DELL'EMPIO
(Con rime obbligate)
Ecco l'empio al suo letto, alto di morte
Nell'orecchio suonar sente le tube,
Ei sente che non fia che più si rube
Della temuta eternità alle porte.
Ruota le luci come l'Orsa torte
Che sovra i figli minacciati cube,
Invan quell'empio, invan si sforza, e jube
All'anima di sostenersi forte.
Egli smania deliro, e nell'interno
Del mal vissuto scellerato petto
Già già si sente anticipar l'inferno.
Ei vi piomba alla fin laggiù confitto,
Ed allegro il Demonio maledetto
Chi die' l'abbraccio ch'ei dava al delitto.
XXIX
L'I N F E R N O
(Con rime obbligate)
Fiamma infinita perpetua balestra,
E n'è pieno ogni piano ed ogni soglia,
La nella casa dell'eterna doglia
In alto, in basso, ed a sinistra, e a destra.
Della bocca de' rei si fa fenestra
E degli occhi; e penètra entro la spoglia,
E fremendo feroce vi gorgoglia
L'alto sdegno di Dio che li sequestra.
Come per aiutarsi entro quei chiostri
Spesso fansi de' bracci al collo ceppi
Quei lordi di peccate infami mostri!
Vampeggiando dagli occhi e dalla bocca
Sta sovra igniti adamandini greppi
Di Dio lo sdegno inferocito, e scocca.
XXX
L A L U N A
(Con rime obbligate)
Ecco pei regni candidi siderei
Incoronata il crin di bianche rose
Appar la luna, e per quei spazi aerei
Le stelle inanzi a lei restano ascose
ecco che dai silenzi escon funerei
Guatandola abbracciate ombre amorose,
Hanno crini scomposti, han visi cerei,
Hanno guance di pianto rugiadose.
E ciascuna dicea : bel astro vergine
Che la su qual ruscel cinto di fiori
Vai scherzando coi raggi e i raggi aspergine,
Eri tu testimon da quell’ampiezza
Celeste il dì che candavam gli amori
Coi cari oggetti di mortal bellezza.
Rime improvvisate
I
Per noctes quaesivi quem diligit anima mea, quaesivi illum et non inveni. Cant. Cap. 3
. Sorge la notte—è tenebrìa profonda:
Alto regna silenzio—esco dal tetto,
Esco presto cercando il mio diletto,
E lo chiamo—e non è chi mi risponda.
Ad ogni auretta, a ogni sommossa fronda
Di speme il cor mi palpita nel petto;
Ma son delusa, e tremo di sospetto,
Perchè notte deserta mi circonda.
Vò correndo ogni piazza, et ogni via:
Oh chi il diletto mio, chi l'ha veduto,
Ch'è conforto alla mesta anima mia!
E le inchieste, e le grida anco rinnovo;
Ma ciascun labbro alla risposta è muto,
E non è chi m'insegni ove lo trovo.
II
Indica mihi quem diligit. anima mea, etc. Cant. Cap. 3.
Dove sei, dove giaci? arde la vampa,
Del meriggio, e squallor n'ha la campagna.
Molta nube infocata in Cielo accampa,
E deserto n'è il piano, e la montagna.
Dove giaci, ove sei? di te si stampa
L'alma che in non vederti ora si lagna;
Tutto è silenzio, dal timor mi scampa,
Vieni, e l'anima mia fa che non pianga.
Oh dove giaci, oh dove sei? dell'onde
D'ogni rivolo nostro il suono è muto,
E il susurro obbliar, l'aure, e le fronde
Finalmente io ti trovo, io tua già sono,
E sempre ti darò d'amor tributo;
Io ti trovo, e più mai non t'abbandono.
III
Si ignoras te, e pulcherrima inter mulieres, etc Cant. Cap.1.
Se non conosci te, fra tutte bella,
Esci, e dietro de' greggi alle pedate
Vanne al brillar dell'aurora novella,
Donna vestita di tutta beltate.
Seguiranti ogni agnello, ed ogni agnella
Tutte quante belando innamorate,
Fino che sorga d'Espero la stella,
Che le richiami ai chiusi, in che son nate.
Seguiranti i pastori, e a te da lato
Alle innocenti inspireran carole
Dando più dolce alle sampogne il fiato.
Tutta leggiadra e la pupilla, e in essa
Lume brilla più bello assai del sole:
Esci, ed allor conoscerai te stessa.
IV
Consurge, consurge, induere fortitudine tua Sion, etc. ISAIA
Sorgi, sorgi, o Sion, voce risuona,
Che ti toglie al furor de combattenti;
Poni di nuovo sulla tua persona
Della gloria perduta i vestimenti
Rimetti al capo ancor quella corona
I cui splendori il tuo nemico ha spenti,
Risorgi in atto di Regina, e tuona
Che venga ognun de' popoli credenti.
E a te intorno si vada radunando
Con tripudio di canto, attento il core
Al cenno augusto del Divin comando.
E la locata nell' antica sede
Il rio tiranno che t' avea livore
O fuggirassi, o bacieratti il piede.
V
PER UNA FONTANA CHE SOVRASTA IL MARE IN DAVIA
E la voce ascoltar della fontana
Giova quando del mar l'onda è quieta,
E su del Cielo nell'azzurra meta
Appar la prima striscia antelucana.
Qui allor non s'ode alcuna voce umana,
Ed appena l'orecchio avido allieta
Vagabonda tra i rami aura secreta,
O lamento di lodola lontana
Salve, o di monte figliuola felice
E delle linfe coi trepidi umori
Di poetica mente imitatrice.
Io verrò sul tuo margo a coricarmi
Al luccicar de' mattutini albori,
E il dolce suon t'intuonerò dei carmi.
VI
PEP UN LUOGO AMENO PURE IN DAVIA OVE L'AUTORE SOLEVA ANDARE DA FANCIULLO
E questo è il loco, in cui traea ridente
Di trastullo il desio me giovinetto;
Qui rapiva gli aromi il Zifiretto
Molle all' arancio, ed al cedro fiorente
Qui la stessa olezzante aura si sente,
Che la mesta rallegra alma nel petto;
La stessa la verzura è nell' aspetto
Vivida, tremolante, rilucente.
U' se' ito degli anni, o fior gentile!
Quanto diverso da quel tempo antico
Ritorno in questo suoi sparso d' Aprile!
E qual cagion tal mutamento apporta?
Non la ignoro, e piangendo la ridico;
Crebbero gli anni, ed innocenza han morta.
VII
Ego dilecto meo, si dilectus meus mihi qui pascitur inter lilia. Cant Cap. 6
In questi di sciagura orridi, e bui
Sentieri, ove per se 1'uom non iscorge,
Solo il diletto mio nel cuor mi sorge,
E non vedo, e non sento altro che lui
Tieni, o mondo per te, tienili i tui
Piaceri, egli e che all' anima mi porge
Tal contento che d' altro non se accorge
Ragionando con meco, ed io con lui.
Egli si pasce sol di virginale
Bel candore di gigli immacolati
Non tocchi da veruna aura mortale;
Ed io lo so, che sua diletta io sono.
Finche morte questi occhi abbia gelati
Non fia ch' io mai lo lasci in abbandono.
VIII
Surge arnica mea. . .jam enim hiems transit, etc. Cant. Cap. 2
Sorgi ora, amica mia, cara colomba,
Sorgi amica leggiarda, e vieni presta;
Or si tacque il fragor della tempesta,
E fuor dell' aura pura altra non romba.
Or più di verno 1'aere non rimbomba,
E splende il Cielo di cerulea vesta;
Sorgi, amica leggiadra, e vieni presta;
Sorgi ora, amica mia, cara colomba
Le terre nostre ecco si fan gioconde
Del dolcissimo fremito, che fanno
Mille fior, mille linfe, e mille fronde.
Sorgi, cara colomba, odi per 1' aria
Tutta fragranza, che agitando il vanno
Canta la Tortorella solitaria.
IX
SULLO STESSO ARGOMENTO
Presta, colomba mia, presta t' avanza,
Ve' che spingendo i vanni alti per 1' aria
Insolita spirante alma fragranza
Canta la tortorella solitaria.
Vedi quanta onde 1' occhio ha dilettanza
Quanta verzura, è nei colori varia ;
Presta colomba mia; presta t' avanza,
Non più spira invernale aura contraria
Ve' come tutto il Ciel, ride d' azzurro,
Odi d'aura prolifica garrito,
E di linfe, e di fronde odi susurro.
Sorgi, amica mia dolce, or più non romba
La tempesta, ed il verno è gia sparito,
Sorgi ora, amica mia, cara colomba.
X
Aperi mihi, soror mea... quia caput meum plenum est ore etc. Cant. Cap. 5.
Apri suora amorosa — ermo il cammino
Ho smarrito—alma dolce apri la porta,
Apri; lontana è 1' ora del mattino,
Notte è buia, e veruno astro conforta.
E s' aggira errabondo il piè tapino
Per gli error del deserto, e nulla ha scorta.
Odi il vento che fischia, odi il canino
Ulular lungo: e ogni altra voce è morta.
Tutta molle la chioma ho di rugiade,
Che va piovendo la notte squallente;
L' alma mi trema, e di terror mi cade.
Odi più sempre, e più di lito in lito
Fremere i venti: e che farò, dolente!
Se di fiero leon scoppia il ruggito!
XI
Quae est ista, quae progreditur quasi aurora consurgens pulchra ut Luna; etc. Cant. Cap. 6.
Chi è costei che muove al par d' aurora,
Che di rose vestita al mondo sorge,
E di limpide stille i campi irrora;
Si che in vita ogni morta erba risorge?
Bella come la luna che ristora,
Con quel candido suo lume che porge,
Lo squallor della notte, onde si scorge
Tal notturna bellezza che innamora;
Eletta come il Sol, che mentre bea
II Cielo, della terra li deserti
Scalda, avviva, rallegra, anima, crea;
Terribil come esercito che stei
Per battagliar ne' vasti campi aperti,
Minacciando terror—Chi è costei?
XII
SULLO STESSO ARGOMENTO
Chi è costei che muove il piede allegra,
E come il mattutino astro scintilla,
Che perpetua versando eterea stilla
I fiori, e le appassite erbe rintegra?
Bella come la luna onde la negra
Squallida notte e consolata, e brilla
Della luce bellissima tranquilla
Che tutto il taciturno orbe rallegra
Eletta come il Sol che solo incede
Pei deserti del Cielo aerei campi,
E di notte all' orror vita succede;
Terribil come esercito che accampi
Pronto alla pugna ; ognun ne teme, e crede
Che terribil la morte orma vi stampi.
XIII
Veni dilecte mi, egrediamur in agrum, commoremur in villis etc.
Cant. Cap. 7.
Vieni, diletto mio, scendiamo al campo,
Scendiamo tosto, e abiterem le ville;
Troppo è l' amor di che nell' alma avvampo,
Sicchè anche il viso avvien che ne sfaville.
Dell' aurora novella al roseo lampo
Andrem della rugiada infra le stille
Per li vigneti fioridi; ed al vampo
Del meriggio ci avran l' ombre tranquille.
Alla vigna d'intorno guaterai
Se il bel frutto che attendi è fatto molle,
E di tua propria man lo coglierai.
I freschi fiori, e l' erbe pur mò sorte
Ci saranno di letto in su quel colle;
Sai che forte e l' amor come la morte.
XIV
Anima mia liquefacta est ut dilectus locutus est, etc.
Cant. Cap. 5
Suon di limpido rivolo che casca
Dalla molle di fresce erbe collina,
Aura che va parlando colla frasca,
Che novella s'aperse e mattutina;
Serenita che dopo la burrasca
Pura in Cielo si spiega ed azzurrina;
Vigile capinera che s'infrasca,
E previene col canto la mattina;
O qualunque altra sia cosa mortale,
Che sull' umana tempra abbia più possa
In confronto alla tua voce non vale.
Poichè quando sentire a me si fece
Tutta l'anima mia tanto fu scossa,
Che nel sentirla il cuor si liquefece.
XV
Fulcite me floribus, stipate me malis quia amore langueo, etc.
Cant. Cap. 2.
Deh folcetemi intorno di que fiori:
Che più puro, e fragrante hanno l'olezzo
E solo accarezzati da un olezzo
Sul lucicar de' mattutini albori:
E molli ancor de' rugiadosi umori,
Voi di cui il cuore a puntate è avvezzo,
Deh li portate, e sia la rosa in mezzo
Immago di virginei splendori.
Ve' che d' arnor mi langue la pupilla,
Langue la bocca, e il viso tutto, e il core
Nel profondo d'amor mi disfavilla.
Stipatemi di poma; or che vi miro
Tutta l'alma d'amor mi langue; è amore
Tutto quanto ond' io parlo, ond' io respiro.
XVI
Surge Aquilo, et veni Auster... perfla hortum meum, etc.
Cant. Cap. 4.
Il vol veloce apportator di gelo
Ora Aquilone furibondo acqueta.
Sorga soave sibilo dal cielo,
Che le campagne al mistic' orto allieta.
Piova da lui fecondatore il velo
Della rugiada che tutto disseta,
E da eteree fragranze ad ogni stelo
Col dolce raggio del divo pianeta.
Piovano stille e sieno mattutine,
E serotine sien, chè allora al mondo
Ogni squallor scomparira di spine;
E tolte queste alle create cose,
II mistic' orto apparira fecondo
D' intatti gigli, e di virginee rose.
XVII
AL NOB. SIG. CAVALIERE
PAOLO CONTE MERCATI
AMICO DELL' AUTORE
Lieve fischiar di giovinetta frasca
Che di bel tempio protegge le mura,
Gorgoglio di ruscel che dall' altura
Di collinetta a rinfrescarla casca,
Sembra, che la pensosa anima pasca
Di sacre cose, e che dalla verzura,
E dal ruscello trepido la fura,
E in ciel la porta, onde salute nasca.
E questo loco, ove silenzio ha regno
Forse perchè religion s' aggira,
Fa meditar ogni mortale ingegno.
Sciogli tu dunque il labbro al nuovo tema;
Ch'io non sento, se qui l' occhio rimira,
O ingegno che paventa, o man che trema
XVIII
UN GIOVINE MORIBONDO AL SUO AMICO
Ecco mio dolce amico, apresi l'urna
Che mi deve albergar fra le tenebre,
Gia la bella per me lampa diurna
Si nasconde per sempre alle latebre.
Parvenze omai d' oscurita notturna
Alle pupille mie si fanno crebre
E mi par di veder la taciturna
Sacra schiera intuonar l'inno funebre.
Addio! So che amista mi serberai,
Perocchè nelle care alme sincere
Dura oltre morte e non si estingue mai.
Vieni allor che sarò sopra il feretro
A porgere per me calde preghiere,
E vieni allor che diverrò scheletro.
XIX
Lamenti della Nob. Sig. GIOVANNA MARTINENGO CARRER nel vedere presso la Chiesa vicina alla sua Gasa alcuni giovani dell'eta del suo figlio Nicolò di cui poco tempo prima era stata priva
O giovinetti, par simili siate
Al dolce figlio che mi tolse morte!
Ahi, che stando del tempio in su le porte
Voi la doglia materna esacerbate
Or voi leggiadri giovinetti andate
Alla madre che fia che si conforte.
Non cosi il mio; che giacciono di morte
Le reliquie del figlio addormentate.
Ah ben presto avanio la mia speranza!
Com'oggi ei ritornava dalla festa
Col tripudio del canto e della danza.
E or basso in faccia ad ogni madre ho il ciglio,
E a lei mia doglia appar si manifesta,
Che non s'attenta a ragionar del figlio.
XX
IL GIUDIZIO FINALE
(Con rime obbligate)
Sorgon trombe del mondo ai quattro termini,
Che fanno rimbombar gli spazi eterei,
E fan col squillo che ne' regni aerei
D'un Dio lo sdegno inferocito germini.
Vedi che sbucan dal letto dei vermini
Mille crin rabbuffati e visi cerei
Quasi volendo ai silenzi funerei
Trattenersi, onde il Cielo non li stermini.
Tutto il mondo si fè fornace torrida
Al perpetuo fischiar d' irato fulmine,
Poscia caverna silenziosa ed orrida.
Qua piomban corpi nell'inferno lividi,
La volan corpi nel celeste culmine
D'eterea gioia immortalmente vividi.
XXI
L' AURORA
(Colle stesse rime del precedente)
Spunta l'Alba del Ciel dai bianchi termini
E va incedendo per gli spazi eterei,
Al divino alternar dei passi aerei
Quelia via di ligustri avvien che germini.
Tutti la senton già, perfino i vermini;
Tutti allegransi già, perfino i cerei
Visi attristati di pensier funerei;
Nè più l'alma di doglia è che si stermini.
Par che prometta il Ciel non più la torrida
Vampa scagliar dell'adirato fulmine,
Che fa la terra silenziosa ed orrida.
Ve mille fior fatti dal nembo lividi
Verso del rilucente azzurro culmine
Sullo stelo rizzarsi e farsi vividi.
XXII
SULLO STESSO ARGOMENTO
(Con rime obbligate)
Sorge l' Aurora; odi d'augelli un gemito,
Vedi d'ale amorose un dolce tremito,
Odi aurette vaganti eccitar tremito
Nel bosco di bei fiori, e fronde gremito.
Fa le strade del Ciel tutte sorridere,
E va col lume ogni alta stella a uccidere.
Vedi Ninfe in bei cori si dividere,
E con mano innocente i fior succidere,
Chi raccoglie gesmino, e chi filliride,
E si van sollazzando al suon di cetere,
E a lor ride dei rai più bella l'Iride.
Deh perchè l'ali il mio pensiero ha gelide!
Vorrei l'Aurora incoronar nell'etere
Cogl'Inni che volar si belli in Elide.
XXIII
LA MORTE
Giaceva immerso in sonno alto, e scorgea
Smilzi fandasmi, e udia bisbigli e voci,
Quando repente all'ultima vallea
Mi portaro i pensier foschi e feroci.
Tutta piena la luna in Ciel splendea,
Ed io la delle fosse in su le foci
Forsennato correva, e mi parea
Legger gli anni ed i nomi in sulle croci
Morte sbalzo, che d'ossa avea ghirlanda,
E le gravi alternava orme tremende
Per lo squallor della funerea landa.
E stendendo il suo braccio ischeletrito,
Ve' il loco, ove convien che tu discenda,
Disse la fiera, e mi svegliai smarrito.
XXIV
LA GASTITA
(Con rime obbligate)
Sorge nel mistic'orto alta una Rosa
Verso l'alba ondeggiante in su lo stelo,
E dalle frondi sue tutta è nascosa,
Che le fanno al pudor virgineo velo.
D'esse a traverso appena scende; e posa
Rugiada candidissima di cielo,
E appena quelle foglie a baciar osa
Il più puro d'amor Zeffiro anelo.
Colui che d'Ella il casto crine infiora
Tutto adombrato apparirà nel viso
Del candor che si piace al primo amore.
D'Ella serto dagli Angeli si fea
Quando giunse la Donna in Paradiso,
Di che il Ciel dopo Dio tutto si bea.
XXV
LA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE
(Con rime obbligate)
Sorse in cielo improvvisa un'armonia,
Ch'iva cantando il bel virgineo Giglio,
Da cui nascer doveva il divin Figlio,
E circondava Iddio la melodia.
Brillava al canto che dicea «Maria»
Ogni fronte celeste ed ogni ciglio,
E pel Ciel si spandea tale un vermiglio,
Che il vermiglio mortal smorto Saria.
Al nome augusto della Veneranda,
D'etereo fior da nulla macchia inciso
Ognuno al crine si facea ghirlanda.
Un abbracciarsi, ed un baciarsi, e un riso
Dappertutto in mirar par che si spanda
Raddoppiato il gioir del Paradiso
XXVI
L' ANNUNZIAZ10NE
(Con rime obbligate)
Scende Gabriel lucente al par d'Aurora,
E sull'omero ha sparso il crime in onda,
Che biondeggia ricinto d'una fronda,
Di che pianta mortal non si colora.
E il labbro suo, cui fulgor divo indora,
Di tal suono a Maria l'orecchio inonda
Salve, salve o Maria, da cui ridonda.
Ogni grazia che il seme uman ristora.
Il Signor è con teco eterea Ninfa.
Che sperdera del rio peccato il nembo
Della grazia lustrale colla linfa.
Sono ancella di Dio, disse, e le ingombra
La mente il gran pensier che ha un Nume in grembo,
E il bel pallor dell'umiltà l'adombra.
XXVII
LA MORTE DEL GIUSTO
(Con rime obbligate)
Giace il giusto al suo letto, e in aria dolce
Il labbro moribondo a Dio dà lode,
Il languido gli s'apre occhio, e ne gode,
Che speranza del Cielo il cor gli folce
Col perpetuo pregar la mente addolce
Onde Satano a lui non faccia frode,
Quand'ecco che improvvisa una melode
La sua divina farfalletta molce.
Vien, dicea della luce entro la fonte,
Ne ti sara più mai tolto l'ameno
Etereo giogo del divino monte.
Dopo un lieve affannarsi alfine uscio
La bell'alma dal carcere terreno
A guisa di sospir caldo di Dio
XXVIII
LA MORTE DELL'EMPIO
(Con rime obbligate)
Ecco l'empio al suo letto, alto di morte
Nell'orecchio suonar sente le tube,
Ei sente che non fia che più si rube
Della temuta eternità alle porte.
Ruota le luci come l'Orsa torte
Che sovra i figli minacciati cube,
Invan quell'empio, invan si sforza, e jube
All'anima di sostenersi forte.
Egli smania deliro, e nell'interno
Del mal vissuto scellerato petto
Già già si sente anticipar l'inferno.
Ei vi piomba alla fin laggiù confitto,
Ed allegro il Demonio maledetto
Chi die' l'abbraccio ch'ei dava al delitto.
XXIX
L'I N F E R N O
(Con rime obbligate)
Fiamma infinita perpetua balestra,
E n'è pieno ogni piano ed ogni soglia,
La nella casa dell'eterna doglia
In alto, in basso, ed a sinistra, e a destra.
Della bocca de' rei si fa fenestra
E degli occhi; e penètra entro la spoglia,
E fremendo feroce vi gorgoglia
L'alto sdegno di Dio che li sequestra.
Come per aiutarsi entro quei chiostri
Spesso fansi de' bracci al collo ceppi
Quei lordi di peccate infami mostri!
Vampeggiando dagli occhi e dalla bocca
Sta sovra igniti adamandini greppi
Di Dio lo sdegno inferocito, e scocca.
XXX
L A L U N A
(Con rime obbligate)
Ecco pei regni candidi siderei
Incoronata il crin di bianche rose
Appar la luna, e per quei spazi aerei
Le stelle inanzi a lei restano ascose
ecco che dai silenzi escon funerei
Guatandola abbracciate ombre amorose,
Hanno crini scomposti, han visi cerei,
Hanno guance di pianto rugiadose.
E ciascuna dicea : bel astro vergine
Che la su qual ruscel cinto di fiori
Vai scherzando coi raggi e i raggi aspergine,
Eri tu testimon da quell’ampiezza
Celeste il dì che candavam gli amori
Coi cari oggetti di mortal bellezza.